(Genova)ore 22:21:00 del 06/03/2017 - Categoria: , Cronaca, Denunce, Politica
Anche se avessimo approvato la modifica costituzionale per l'abolizione delle Provincie queste sarebbero invece state trasformate ad es. in Agenzie provinciali, i presidenti in Dirigenti provinciali, assessori e consiglieri in Consulenti provinciali e tutto sarebbe rimasto come prima
La prossima legislatura non potrà ignorare il problema di una riforma organica delle autonomie locali, al di fuori e al di là di quanto è stato finora fatto in materia di Città metropolitane e di riassetto delle Province.
Matteo Renzi non è riuscito nell’impresa di spazzarle via definitivamente e ora ce le terremo a lungo. Con esborsi a carico dei contribuenti sempre più alti. Solo nel 2015 ci sono costate ben 1,7 miliardi di euro in più. Stiamo parlando delle province: simbolo made in Italy dello spreco di denaro pubblico, ora sono diventate immortali. E lo sono diventate, come spiega la Corte dei conti in un documento di pochissimi giorni fa, proprio per il clamoroso flop del referendum costituzionale del 4 dicembre. Anche se pasticciata, la riforma del 2014 - quella che aveva cercato di dare una prima, goffa spallata agli enti territoriali - ora è in qualche modo rafforzata dal «no» degli elettori alla revisione della Costituzione.
Quel «no», secondo i magistrati contabili, ha di fatto reso le province immortali. L’esito del voto del 4 dicembre «ha avuto l’effetto di cristallizzare la riforma ordinamentale». Si tratta, nel dettaglio, della legge 56 approvata nel 2014, a pochi mesi dall’insediamento di Renzi a palazzo Chigi. L’ex premier affidò all’allora sottosegretario Graziano Delrio il compito di avviare la cancellazione degli enti. Il risultato fu una riforma a metà (e decisamente mal scritta) che si sarebbe dovuta completare solo con la revisione della Costituzione. Saltata quella, resta la legge 56. Che, scrive la Corte dei conti, «esprime» comunque «un nuovo assetto delle province e del livello istituzionale di area vasta che è da ritenere stabile anche in funzione del rispetto del principio di continuità delle funzioni amministrative e, in quanto tale, opera, oggettivamente, in una prospettiva duratura». Il concetto è chiaro: l’attuale architettura della macchina amministrativa italiana è stabile e duratura. Lo stesso concetto ribadito dai diretti interessati, ovvero i presidenti di provincia, in una comunicazione ufficiale al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Al quale, poco dopo la sconfitta referendaria di Renzi, è stato puntualizzato che le province sono «incardinate nella struttura costituzionale». Tanto per ancorarsi meglio nel porto del Quirinale.